Con l’intervento del legislatore, e quindi con la Legge n. 81/2017, si è congegnata una disciplina del lavoro agile, raffigurando uno scenario più nitido delle possibili modalità di esecuzione “flessibile” della prestazione lavorativa subordinata, e questo al doppio fine di garantire maggior competitività nel mercato del lavoro e di creare la possibilità per il lavoratore di conciliare meglio l’attività lavorativa con quella familiare, garantendo pur sempre un determinato grado di produttività.
Gli obiettivi di questa forma di lavoro non si limitano alla flessibilità e alla conciliazione ma si spingono fino al raggiungimento dell’efficienza dell’organizzazione aziendale che avviene grazie ad una combinazione di elementi, quali: autonomia, collaborazione e ottimizzazione degli strumenti e degli ambienti di lavoro.
Nella visione tradizionale il tema della conciliazione vita-lavoro è stato sempre affrontato come «strumento per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro», mentre più recentemente sembra essere stato esteso quale «strumento per favorire il benessere sul luogo di lavoro». In questo contesto ben si inserisce il lavoro agile.
il tempo di lavoro modulato sugli orari aziendali è sostituito da una gestione flessibile, che deve essere pattuita dal lavoratore e dal datore nell’accordo di lavoro agile, e pur sempre in armonia con l’organizzazione dell’azienda e, «entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva».
Similmente, anche la collocazione spaziale della prestazione lavorativa in modalità agile, in assenza di «precisi vincoli di luogo di lavoro», ai sensi dell’art. 18, comma 1, secondo periodo, potrà essere liberamente determinata dalle parti.
Posto che per raggiungere il fine conciliativo il lavoratore agile dovrebbe avere grande spazio di manovra nella determinazione dei tempi e dei luoghi di esecuzione della prestazione, è allora necessario focalizzare l’attenzione su quanta autonomia ha effettivamente nella predisposizione del “patto”.
Le finalità che il legislatore collega alla promozione del lavoro agile portano ad evidenziare due aspetti peculiari perché, se da una parte è sotteso l’obiettivo di raggiungere una maggior flessibilità nel lavoro subordinato, dall’altra si evince che l’esigenza di ottenere un lavoratore che sia più produttivo si ricava attraverso il vantaggio di un ausilio della tecnologia e di una maggiore attenzione (almeno in teoria) alle sue esigenze personali. Per cui, maggior flessibilità insieme ad un lavoratore più produttivo fanno sì che si sviluppi una maggior competitività dell’impresa sul mercato. La legge non prescrive che vi debbano sussistere necessariamente entrambe le finalità, saranno quindi le parti del rapporto che potranno prevedere, rispetto all’organizzazione aziendale e al tipo di prestazione richiesta, se procedere ad accoglierle entrambe o solo una di queste all’interno dell’accordo.
La “flessibilità spazio-temporale” di cui la Legge n. 81/2017 si fa portatrice, rappresenta al contempo il punto di forza ma anche di debolezza. Il problema più rilevante risulta quello della difficile demarcazione tra il tempo di lavoro e quello di non lavoro. Il rischio di commistione tra i due momenti si riferisce a quello che è stato definito come «time porosity».
I rischi per la salute del lavoratore always on sono tanto fisici quanto mentali e portano a patologie quali il techno-stress, la dipendenza tecnologica, il burnout.
L’invasione di una delle due tipologie di “tempo” può avvenire sia nel senso di un “uso distorto” del tempo di lavoro perché magari il lavoratore si impegna in altre attività personali tramite l’accesso alla rete; come anche nel senso inverso, che è proprio la problematica più rilevante, ovverosia quando il tempo di lavoro sfocia nel tempo “privato”, richiedendo al lavoratore di svolgere le attività attinenti alle sue mansioni oltre l’orario previsto. Tale rischio, sebbene fosse presente anche in passato, oggi è ancor più evidente per l’uso della tecnologia che è costantemente “a portata di mano”.
Tale problematica è stata avvertita anche dal legislatore del 2017 che, ha quindi previsto all’art. 19, comma 1, che al lavoratore in modalità agile debba essere assicurata la “disconnessione” dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.
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