Il covid ha lasciato il segno sui bilanci delle multinazionali seguendo la scia degli spostamenti del virus. Così i gruppi che fanno affari soprattutto in Cina e nel resto dell’Asia hanno visto riprendere le vendite a partire da aprile, mentre il radicamento a Occidente, tra Europa e Usa, ha portato a registrare i contraccolpi a scoppio ritardato, soprattutto tra marzo e maggio. L’analisi condotta dall’Area Studi di Mediobanca tra 150 multinazionali con oltre 3 miliardi di fatturato fotografa una contrazione media del giro d’affari del 6,6% nel semestre. Ma, a prescindere dalla dislocazione geografica, non tutti i settori sono andati di pari passo.
Nei sei mesi interessati dagli effetti della pandemia, le regine del web hanno beneficiato di un aumento dei ricavi del 17,6%, la grande distribuzione del 9,6%, l’elettronica del 5,6%. Sono campi in cui ‘Italia non eccelle, a differenza della moda che è stata invece tra i settori più colpiti con una contrazione delle vendite del 28,4%. Peggio hanno fatto solo le aziende petrolifere che hanno perso più di un terzo del fatturato (- 33,8%) e i produttori di aerei (-31,8%). La contrazione delle vendite si è riflessa ovviamente anche sulla redditività con un’incidenza del risultato operativo sul fatturato calata, nell’insieme delle multinazionali, di 4,5 punti al 12,7%.
In Borsa però la ripresa è già iniziata: al calo del primo trimestre (- 22,9%, vale a dire 86 miliardi andati in fumo), ha fatto seguito il recupero del secondo trimestre che ha assistito a una ripresa di valore di 44 miliardi, con un rimbalzo del 15,1% rispetto ai livelli di fine marzo. Sul listino milanese i titoli dell’energia e le utilities hanno performato meglio delle altre, addirittura con un progresso del 2,5% nel semestre, mentre al alo è rimasta l’Eni col petrolio, dimagrita di quasi il 39% in sei mesi.
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