La governance economica europea dovrebbe vivere prossimamente il suo momento migliore: il cosiddetto “semestre europeo” con i piani nazionali di riforma e le scadenze di politica economica e di bilancio, le successive raccomandazioni-Paese della Commissione, saranno al centro del confronto politico, della valutazione e anche della supervisione delle scelte anticrisi nel quadro di Next Generation Eu, finanziato con la più grande emissione di obbligazioni comunitarie che sia mai stata effettuata in Europa (750 miliardi). È il perno sul quale ruota l’azione europea per uscire dalla crisi provocata dal Covid-19.
La pandemia ha imposto decisioni aborrite fino a qualche settimana prima (per esempio il congelamento del patto di stabilità) per permettere ai governi di far filare i deficit in una situazione di emergenza. La novità politica è che tutta l’azione anticrisi dovrà passare sotto il vaglio del ‘semestre europeo’ per essere certi che le risorse comuni siano spese in linea con le priorità definite dalle raccomandazioni Ue. Con valutazioni ex ante e verifiche ex post. Niente Troike in vista, pur tuttavia una forma di controllo la cui intensità dipenderà da due fattori: la trasparenza e l’aderenza delle scelte nazionali agli obiettivi di politica economica e strutturale concordati a livello Ue, i rapporti di forza politici tra gli Stati. Le une e gli altri soggetti a variabile fragilità. In questo scenario il ruolo del Parlamento europeo non deve essere secondario.
Il primo passo cruciale è ripristinare l’onestà e la credibilità del semestre. In chiaro: analisi e indicazioni della Commissione dovrebbero essere lette in tutti i loro aspetti nei vari Paesi senza timore di innescare una “escalation” polemica controproduttiva per tutti, i governi in carica e la Commissione. Il secondo passo è considerare inutili le sanzioni agli Stati inadempienti (peraltro mai utilizzate e, secondo gli autori, dalla base giuridica discutibile), da sostituire con una “escalation” procedurale che forzi i governi a giustificare le loro scelte pubblicamente. In terzo luogo, “per garantire la legittimità delle azioni Ue e rispettare le competenze nazionali, il collegamento del quadro di ‘governance’ economica al bilancio dell’Unione non dovrebbe essere utilizzato come meccanismo sanzionatorio aggiuntivo” perché tale legame “non esiste per incentivare gli Stati membri a seguire determinate politiche, ma solo per proteggere i fondi dell’Unione e dovrebbe essere invocato solo di fronte a prove chiare e concrete che l’efficacia dei programmi dell’Unione è effettivamente compromessa”. Invece, la Commissione potrebbe offrire attivamente e pubblicamente supporto tecnico agli Stati membri per affrontare i problemi individuati. Poi, dovrebbero ripristinati i ruoli istituzionali come definiti nei Trattati: il Consiglio decide, la Commissione prepara e fornisce competenza. I compiti della Commissione “dovrebbero essere riconsiderati e limitati a quelli tecnici, riducendo la dimensione politica del suo lavoro e ripristinando la sua obiettività tecnocratica” (un’idea in sintonia con le critiche alla Commissione di essere eccessivamente politicizzata). Se il Consiglio non legittimasse le valutazioni della Commissione, ciò deve avvenire “apertamente e in modo trasparente”. Quinto passo: il ‘semestre europeo’ dovrebbe essere utilizzato al massimo per sostenere l’assunzione di responsabilità a livello nazionale chiarendo dove sono stati commessi errori e chi ne è responsabile.
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